LE MIEOLODISPLASIE

Cosa sono

Le sindromi mielodisplastiche (SMD) comprendono un insieme di malattie originate dalla alterazione della normale maturazione delle cellule della linea mieloide che porta dunque a una riduzione del numero di globuli rossi, bianchi e/o e piastrine di gravità variabile (citopenia periferica), oltre che a un’alterazione del loro normale funzionamento e della loro morfologia (displasia).

Una distinzione importante rispetto alla leucemia acuta è la percentuale di blasti nel midollo: si può parlare di mielodisplasia fino a una percentuale di blasti nel midollo pari al 19%, al di sopra di questa percentuale la diagnosi sarà di leucemia acuta.

Le due malattie sono quindi strettamente collegate, difatti le mielodisplasie potrebbero ulteriormente evolvere e trasformarsi in una leucemia mieloide acuta (LMA). Tuttavia, il rischio di evoluzione è molto diverso in base al sottotipo di malattia e alla categoria di rischio, e vi sono forme con bassa probabilità di trasformazione.
D’altra parte, l’evoluzione della malattia può essere acuta, con un rapido deterioramento dei parametri clinici e di laboratorio.

Le SMD non hanno molto spesso una causa evidente. Sappiamo che l’esposizione al benzene, a prodotti chimici con potenzialità genotossica, al fumo, ai chemioterapici o alle radiazioni ionizzanti, sono fattori di rischio correlati alla malattia. Inoltre, sono più frequenti in età avanzata (età mediana alla diagnosi 70aa) e possiamo quindi considerarle come patologie da invecchiamento che originano da un progressivo accumulo di mutazioni a carico della cellula staminale “commited” verso la linea mieloide. Tali mutazioni determinerebbero un vantaggio di sopravvivenza della cellula mutata rispetto alla cellula sana, portando quindi all’espansione del clone mielodisplastico.

Le SMD sono malattie con un’insorgenza che può non essere immediatamente evidente. In genere l’attenzione del medico viene sollecitata a seguito della rilevazione di uno stato di anemia (tipico soprattutto delle fasi iniziali), che può essere asintomatico per un tempo dipendente dalla velocità con cui la malattia si espande e la capacità di adattamento dell’organismo alla diminuzione di emoglobina. Oltre allo stato di anemia, alla diagnosi possono essere evidenti anche neutropenia, con rischio di infezioni, e piastrinopenia, che se grave si può presentare con manifestazioni emorragiche cutanee e/o mucose (petecchie, ecchimosi o ematomi).

Per la diagnosi, accanto alla valutazione dell’emocromo si effettua la valutazione dello striscio di sangue periferico, che consente di evidenziare la presenza di eventuali cellule immature circolanti e anomalie nell’aspetto delle cellule circolanti. È poi fondamentale la valutazione morfologica dell’aspirato midollare, che consente di stabilire la diagnosi definitiva attraverso la dimostrazione delle anomalie nell’aspetto dei precursori delle cellule del sangue (displasia) e il conteggio del numero di blasti, fondamentale per la classificazione, la prognosi e poi per la terapia, così come lo studio citogenetico.

A causa delle numerose variabili che caratterizzano la malattia, non è semplice prevedere il tipo di decorso clinico, che è estremamente eterogeneo. Grazie a studi su un numero di pazienti molto elevato, sono state sviluppate scale di valutazione del rischio che prendono in considerazione diversi parametri clinico-biologici.

Il sistema di classificazione più utilizzato è chiamato R-IPSS (Revised International Prognostic Scoring System) e suddivide i pazienti in 5 gruppi di rischio sulla base della gravità delle citopenie (piastrinopenia, anemia e neutropenia), il numero dei blasti e le anomalie citogenetiche. I cinque gruppi hanno un andamento molto diverso fra di loro e beneficiano di trattamenti distinti.

Riguardo il trattamento delle SMD uno dei principali problemi è l’età del paziente, poiché sono patologie che interessano prevalentemente i soggetti anziani, con altre comorbidità, che impediscono l’utilizzo di schemi chemioterapici aggressivi o il ricorso a trapianto di midollo.

Nella maggior parte dei casi l’obiettivo della terapia è migliorare la qualità della vita e prolungare la sopravvivenza di questi pazienti, evitando o diminuendo il rischio di evoluzione in leucemia acuta (LAM). I pazienti vengono stratificati per fattori di rischio (secondo quello che viene chiamato indice di rischio IPSS).

Fondamentale è la terapia di supporto tramite trasfusioni di sangue e piastrine per ridurre la sintomatologia ed evitare complicanze come sanguinamenti che possono persino risultare fatali.

In tutte le SMD, è importante ridurre i danni del sovraccarico di ferro nell’organismo (dovuto in parte alla malattia stessa, ma soprattutto alla necessità trasfusionale) con adeguata terapia che lega il ferro e lo elimina.

SMD con R-IPSS basso o intermedio. Nel caso di pazienti con malattia asintomatica è indicata la sola osservazione, al fine di intercettare precocemente un peggioramento della clinica o l’evoluzione in Leucemia Mieloide Acuta.

Invece, nel caso di pazienti sintomatici per la citopenia periferica e/o trasfusione- dipendenti può essere utile l’utilizzo di farmaci che permettono di migliorare l’eritropoiesi e aumentare i livelli di emoglobina nel sangue.

Fondamentale resta comunque il supporto trasfusionale.

SMD con R_IPSS alto o molto alto. In questo gruppo rientrano le mielodisplasie con maggiore tendenza evolutiva in leucemie acute. Questo gruppo di pazienti vengono solitamente trattati con specifici farmaci, che agiscono direttamente sul DNA delle cellule e non sono dei chemioterapici.

Questi farmaci vengono somministrati tramite infusione endovenosa o sottocutanea per 5-7 giorni al mese e permettono di tenere sotto controllo il clone mielodisplastico, facendo così maturare cellule del midollo normali. Si tratta di terapie con un meccanismo d’azione piuttosto lento, per cui sono necessari diversi cicli prima di poter valutare in maniera precisa la risposta al trattamento.

Nel paziente giovane con SMD ad alto rischio è comunque indispensabile valutare l’idoneità al trapianto. Il trapianto di midollo rappresenta infatti l’unica terapia potenzialmente in grado di eradicare la malattia; tuttavia, si tratta di una procedura gravata da un certo grado di mortalità e spesso accompagnata da numerose complicanze che possono inficiare la qualità di vita.

Il trapianto inoltre va preceduto da chemioterapia intensiva che permetterà successivamente alle nuove cellule di “attecchire” nel midollo del ricevente. La scelta del trapianto va quindi attentamente ponderata sulla base della malattia, ma soprattutto sulla base delle caratteristiche fisiche del paziente, che deve essere appunto reputato idoneo da un team di specialisti.